lunedì 11 maggio 2009

Deeply sunken hours and the unpredictable projects…


È sparita la luna,
Le pleiadi. Notte
Alta.
L’ora del tempo varca.
Ed io dormo
sola.

È singolare, ma la poesia che più mi rappresenta in questo periodo è stata scritta da una donna più di 2500 anni fa. Coglie, credo, l’essenza di quei momenti di solitudine notturna, quando è troppo tardi per dormire e troppo presto per alzarsi, in cui i tuoi pensieri si attorcigliano su se stessi e tu ti autopensi. Cartesio era un dilettante in confronto ad un qualsiasi erratico non dormiente moderno. Tipo me, per esempio.
Non dormo, ma non è una novità di oggi. È di oggi invece il pensiero di come spesso la nostra testa viaggi qualche mese nel futuro, a dispetto di noi e, soprattutto degli altri.
Ho sempre pensato che fare progetti strampalati fosse per me l’alternativa alla noia quotidiana di cercare di essere quello che dovrei, ma che non sono sicuro di voler essere. Va avanti così da anni. Cambiano solo i protagonisti passivi, le mete, i mezzi. Il resto rimane invariato: Io.
Prendiamo due esempi catastroficamente distanti fra loro: l’amore e le vacanze.
In entrambi i casi mi pare di spiccare voli omerici, sorretto da ali di cera, con la somma incertezza se alla fine mi scoprirò Deadalus o Icarus. Arriverò a destinazione o cadrò perché oso troppo?
L’obiettivo è sempre un passo troppo in là. Lo scelgo, inconsciamente, apposta. Odio la mediocrità di ciò che faccio (Ok, ok, l’ho già scritto… sono noioso e ripetitivo, ve l’avevo detto di smettere di leggere e di seguire il link in fondo alla pagina), ma quando sogno, progetto, mi innamoro… volo molto alto.
Quindi ogni volta eccomi pronto a gettarmi a copofitto in imprese fantastiche, avventurose, intense e potenzialmente molto, molto pericolose. Soprattutto per me.
Viaggiare fa parte di me, sono cresciuto viaggiando. Anche letterariamente. I miei autori preferiti di quando avevo 12 anni scrivevano di viaggi fantastici ed avventurosi (Jack London, Jules Verne, J.R.R. Tolkien).
A 18 anni leggevo di altri viaggi,più maturi e impegnati (J. Kerouac, il Che, B. Chatwin). A 25, complice la scoperta che con lo zaino e a piedi si va davvero dappertutto, ero tornato all’avventura classica (J. Conrad, Steinbeck). A 30 ecco che rispunta la filosofia del viaggio come ricerca interiore: Junger, Langerdorff, Malraux, Hopkirk.
Oggi guardo i Simpson.
La stessa escalation l’hanno avuta i viaggi: ho iniziato a viaggiare da solo (o almeno con gente che non conoscevo prima) a 13 anni, quando i miei hanno deciso che ero grande a sufficienza per andare a Londra da solo a studiare l’inglese. Avevano ragione, naturalmente, anche se di inglese non imparai nulla.
A 16 ero di nuovo lassù, anche a 17 e 18 anni. Amo Londra, amo l’Inghilterra.
Poi ho iniziato a girellare l’Europa. Un po’ a caso ed in modo assurdo. Per aver compiuto il mio dovere di studente ed essermi maturato ufficialmente ho vinto un mesetto a Budapest, in un appartamento preso in affitto (in realtà era subaffittato da dei ragazzi all’insaputa dai genitori di questi, che erano a loro volta in vacanza), con il mio amico Stefano. In quegli anni ho maturato anche la predilezione per i posti sfigati nei momenti sfigati: c’era la guerra in Jugoslavia? Io ero lì a fare il bravo scout e ad aiutare i profughi (non ci fate caso, ero anche comunista). C’era la guerra in Albania? Eccomi, pronto, guidavo la jeep della P.A. che dall’aeroporto militare di Tirana portava i feriti ai vari ospedali, appena arrivavano freschi freschi con gli elicotteri militari (la Cinza è rimasta l’unica con cui condivido questo ricordo oramai decennale).
Anche la bicicletta ha sempre avuto un certo fascino per me. Su di essa sono arrivato a Budapest, anni dopo mi sono arrampicato sui passi alpini per raggiungere Salisburgo, partendo da Innsbruck.
Poi sono andato in treno fino a Praga, poi in Polonia poi ancora a Budapest, Vienna, Bratislava, Monaco.
Ho studiato mesi e mesi da a Friburgo, per re-imparare il tedesco perso nella mia infanzia, imparando al contempo una notevole dose di parole intime in Svedese, Norvegese e spagnolo. In quei mesi riuscivo a dire ti amo a 4 persone contemporaneamente in 4 lingue diverse. Chissà se poi davvero ci credevano come dicevano.
Anni dopo sono arrivato fino a Capo Nord, dove, il 18 di agosto, una tempesta di ghiaccio e neve ha abbattuto la mia tenda e mi ha costretto alla fuga notturna (e allo scontro con una cazzo di renna suicida ed incazzata, ma questa è un’altra storia). Tutto rigorosamente con i mezzi trovati sul posto. Pensate che abbiamo finito i soldi più o meno a metà della Norvegia. Abbiamo risparmiato fino all’eccesso, non mangiavamo quasi niente e dormivamo per terra nelle stazioni. Fino al momento in cui abbiamo scoperto che rubare nei supermercati norvegesi è facilissimo. Da li in poi…
Viaggi complicati? Forse.
Pensate che un anno ho deciso che volevo vedere il Perù. Sono stato via più di un mese, ho viaggiato sulla panamericana (la stessa che ha percorso il Chea suo tempo, ma in direzione opposta…), sono arrivato a Macchu Picchu… a piedi. Ci ho messo 4 giorni per arrivare fino lassù, giorni in cui camminavo 14 ore e crollavo morto le altre 10. Faceva caldo, avevo la peggiore dissenteria della mia vita (la diarrea ed i viaggi sono inseparabili, ricordatevelo). Ma sono arrivato e me lo ricorderò per sempre. Ricorderò per sempre anche che il 21 di agosto di quell’anno, verso sera, prima di crollare pensai che quello sarebbe stato per me il giorno più difficile della mia vita, ero sfinito, i miei compagni di viaggio stavano male, persino Marco aveva vomitato per la fatica e lo stress. Non credevo che avrei mai patito tanto di nuovo. Mi sbagliavo, il 21 agosto dell’anno dopo moriva mio padre per un cazzo di errore medico. Odio le coincidenze.
Poi sono andato in Africa. Ci tornai con Marco e con la mia ragazza di allora (che è stata la mia unica Fidanzata, finora). Sono partito da Dakar, in Senegal, abbiamo attraversato il paese, poi il Gambia, poi siamo andati a pescare con i pescatori di li ed ho imparato cosa vuole veramente dire Insch’Allah. Siamo risaliti verso il Mali e, abbiamo preso un treno fantastico, con la gente sul tetto e gli animali dentro. Fino a che un ponte crollato non ha costretto tutti i passeggeri a guadare il fiume con i bagagli sulla testa per poi riprendere il treno di là del ponte. Marco si è beccato qualcosa che pareva a tutti malaria ma che dopo un po’ è guarita. Siamo andati verso Timboctou, solo per scoprire che l’idiota di conducente che avevamo preso aveva voluto risparmiare sulle gomme. Fermi nel deserto per 11 ore, fino all’arrivo di una jeep di simil banditi, che poi sembra che invece fossero governativi. Mai chiarito del tutto. Intanto noi ci eravamo bevuti tutto il radiatore, mitigando il sapore di motore con l’aspira effervescente. Timboctou. Città magnifica, ogni volta che ci penso mi viene da piangere per la nostalgia. Mal d’Africa? Non lo so ma vi giuro che è lì che ora vorrei essere.
Poi il Burkina Faso, Ouagadogu, il Niger, Niamey ed una pletora di posti incredibili nel mezzo. Cattedrali fatte di fango, fiumi larghi, mangrovie, scorpioni, un varano di un metro e mezzo nel cesso mentre pisciavo. personaggi strani, compagni di viaggio improbabili.
Tutto questo è il mio viaggiare. Fatto di luoghi e di persone, ma soprattutto di compagni di viaggio. Li scelgo con cura e confeziono la meta del viaggio su di loro. Scelgo mete impegnative e persone interessanti. Tutto è sempre andato bene.
E finora ho sempre pensato che tutto sarebbe continuato così. Bastava scegliere una meta e andare, partire. Al massimo c’era da convincere gli indecisi. Di solito io organizzo e propongo e le persone mi seguono e arricchiscono il viaggio. Ho sempre pensato che tutto dipendeva da me e che ogni ostacolo potesse essere superato. Purché io lo volessi.
Oggi ho scoperto invece che ci sono cose più grandi di me. Cose contro cui non posso fare nulla. Battaglie che non si possono vincere, ma solo combattere.
Qualcuno mi ha detto qualcosa oggi. Ed il mio viaggio di quest’estate è andato in una zona di discussione.
Una voce beffarda dentro di me ripete: Insch’Allah, cazzone. E ride.
Vedete, ho passato l’ultima settimana a programmare, leggere, studiare mappe, pensare e sognare l’avventura estiva. Ed in tutti i miei pensieri eravamo almeno in tre. A volte potevamo essere quattro, o cinque o di più. Ma i tre di base c’erano sempre, non cambiavamo.
Oggi non siamo più tre ed io mi sono reso conto che così non è più lo stesso viaggio. Ha un sapore diverso. Un po’ amaro.
E non so che fare. Arrendermi o continuare a progettare? Ci sono davvero cose che non posso realizzare? Posso vincere il destino di qualcun altro anche solo per 15 giorni? Per la prima volta ho paura.
Ok, questo era il viaggio, direte, ma l’amore? Cosa c’entra?
È la stessa cosa. Le stesse difficoltà e, soprattutto, la stessa paura: che alla fine non dipenda da me. Che, per quanto io faccia, lotti, soffra, a lei non importi. Ed io non so se potrò farci nulla. Anche qui, per la prima volta, ho paura.

1 commento:

  1. ci sono lotte nella vita nei confronti delle quali vorresti combattere sapendo che puoi vincere; perchè è così che succede nelle storie. Ad ogni lotta corrisponde una vittoria, un lieto fine.
    Nella vita però nel momento in cui ti accorgi di questa guerra è il momento in cui hai realmente perso. Nessun riscatto. Nessuno.

    RispondiElimina