venerdì 19 giugno 2009

stars and nails

Invidio le stelle rotolanti
senza chiodi fissi
cui ancorare pensieri immoti

lunedì 15 giugno 2009

Out of focus pictures


Le foto mi scorrono tra le mani come se fossero le pagine di una rivista dove qualcuno si è divertito ad inserire la mia vita in ordine sparso.
Le faccio scorrere, passandole una ad una rapidamente. Giusto il tempo di riconoscere volti e ricordare nomi che oramai mi sono meno familiari di quanto lo siano Julien Sorel e Andrè Bolkonsky.
Odio le fotografie, stasera più che mai, ma non posso fare a meno di scorrerle tutte. Sono quasi 100 e congelano attimi passati, troppo lontani e troppo felici per non procurare un sordo malessere.
In alcune foto ho meno di 10 anni, in altre 16, 18. Nessuna oltre il mio 20 anno di età.
Alcune sembrano prendere vita, le più vecchie. Vedo la scena andare avanti, mia madre che prosegue il suo gesto interrotto, mio fratello che si volta, il ragazzo di cui non ricordo il nome che passa oltre, riuscendo finalmente, dopo 20 anni, ad uscire dall’inquadratura. Spero per lui che quello che avesse avuto da fare quel giorno non fosse poi così urgente…
Tutto è pervaso dagli stessi colori troppo saturi che hanno le foto degli anni 80. Colori che ti si appiccicano agli occhi, scalfendo i contorni dei piumini, dell’erba, delle luci. Sono foto impressioniste, mi aspetto quasi di vedere gruppi in frack e cilindro che fanno colazione fra l’erba o dame coll’ombrellino che passano dietro ad un me stesso dimenticato.
Poi arrivano le voci, i rumori, la palla che finalmente arriva a meta, inseguita da me, stefano e luca. Passo la foto e faccio un salto indietro di 4 anni. Sono alla stazione, sto partendo, ho lo zaino in spalla. Anche qui sento le voci degli altri ragazzi intorno al me stesso di allora, il rumore dei treni, la puzza della stazione. Ho sete e vorrei prendere l’acqua gusto plastica che la borraccia gio style che ho al collo sicuramente contiene.
Avanti piano, la mia promessa in reparto, la foto di classe, due spettacoli teatrali, io a londra, io a Budapest, io a ‘ffanculo.
Alcuni volti si sovrappongono a volti che ancora mi sono cari. Andrea e David alla chiusura del 1990, ma mi pare quasi che non siano le stesse persone. Altri volti non si sovrappongono a nulla, sono semplicemente rimasti per sempre a quell’attimo. Non più rivisti, non sono mai cresciuti o invecchiati. Essi sono i più fortunati.
Altri volti semplicemente spariscono. Leonardo, Riccardo, Alessio, il prof. Giorgi. Li guardo, sembrano lasciare uno spazio vuoto nelle foto, quasi che morendo si siano portati via anche le loro immagini. Uno scriveva poesie ed è morto soffocato, l’altro faceva forca con me alle superiori e si è sparato in bocca tre o quattro anni fa.
Alcune foto fanno male più di altre. La ragazza che ho amato. Il mio migliore amico. Il cutty sark. l’atmosfera di un viaggio che non si replicherà mai più. Tutto è andato. Tutto è perduto, sciupato, bruciato, perfino. Ed a me pare di non essermene accorto. Come se ad un certo punto di un viaggio in treno mi fossi assopito e poi, aprendo gli occhi all’improvviso, mi sia reso conto di essere quasi arrivato, di aver dormito per la maggior parte del tragitto, durante il quale molti compagni di viaggio siano scesi ed io non li abbia potuti salutare.
La cosa peggiore di tutte però è il mio volto sereno. In quelle foto, in tutte, sorrido.
Sorrido davvero, non il ghigno forzato delle foto di maniera cui devo saltuariamente sottostare, ma un sorriso vero. Penso: ero felice. Davvero felice. E mi domando quando io abbia smesso.
La stessa domanda me la pongono gli altri volti intorno a me, paiono guardare oltre la superficie bidimensionale della foto. Ne posso, oggi, intercettare lo sguardo di allora. Alcuni mi sorridono, altri mi guardano con aria interrogativa, taluni sembrano aspettarsi qualcosa. Ed io non ho risposte per loro. Sono felice che non possano aggredirmi.
Dannate fotografie resuscitate. Erano nascoste in uno scatolone, seppellito in una cantina non mia, in mezzo a vecchie cose dimenticate. Sono riuscite a farsi trovare da qualcuno che ha pensato le volessi indietro e me le ha riportate. Così mi hanno raggiunto di nuovo. Proprio oggi che dubito di volere che la notte ceda il passo al giorno, stanotte né la morfina né l’alcol riescono ad allontanare il dolore. Domani, domani sarò forte abbastanza da riuscire a fuggire di nuovo, ma non stanotte. Stanotte sono solo, fuori della mia finestra anche la notte tace. Tacciono le rane, tace il fiume. Macchine non ne passano più ed è troppo presto per il primo treno della mattina. Mi par di vegliare con il freddo cielo, di cui non scorgo le stelle. Mi scuoto.
Le foto cadono a terra. Le calpesto, passo oltre. Le voci si perdono in distanze misurate in decenni, i gesti tornano a cristallizzarsi, i colori riprendono il loro lento decadimento.
Mi rifugio in un nuovo libro e spero che il sonno mi venga in soccorso, portandomi l’oblio spossato e senza sogni che agogno.

lunedì 8 giugno 2009

The SEXy AND THE exCIT(Y)ed women

OK bimbe, non leggete questo post, non è per voi. Se lo leggete potreste pensare che io non sia il romantico gentiluomo che voi invece sapete bene io sono… vi ho avvertite.
Questo interminabile finesettimana mi sono annoiato.
Non è una novità in verità, succede spesso. Annoiandomi mi sono rivisto un paio di puntate di una serie Tv che mi ha insegnato molto sulle donne. (Avete indovinato, proprio quella, bravi, sapete leggere i titoli dei post…).
Non fraintendetemi, non ti insegna qualcosa delle donne, ma sulle donne. Ovvero come vedono se stesse.
Da quando ho capito questo molte cose mi sono apparse immediatamente più chiare e… ne ho tratto vantaggio.
Infatti ognuna di quelle splendide creature dietro alle quali perdiamo tanta parte del nostro tempo (in pensieri e parole ed omissioni più che in azioni, citando l’atto di dolore chiesastico), è intimamente convinta di ricalcare in tutto o in parte il carattere di almeno una delle quattro tardone protagoniste della serie.
La serie di per se non fa che osannare il mito della donna intelligente e autonoma, che si, si lascia coinvolgere da storie strampalate ma che alla fine, qualsiasi cosa accada, ha le sue amiche con cui condividere tutto… (si lo so, viene da ridere anche a me, ma loro ci credono).
Ecco allora che si profila all’orizzonte un ottimo argomento di discussione indiretta. Prendete un episodio qualsiasi, ricamateci un po’ sopra, raccontatelo come esperienza vostra (ricordatevi di convertire al maschile le esperienze di vita vissuta, mi raccomando…) e loro sapranno che voi siete un ragazzo sensibile, dolce e che ha molto in comune con loro… ma non è finita qui: fase seconda, passare all’attacco.
Ricordatevi: se volete portarvela a letto (tra noi non c’è bisogno di sparare cazzate giusto? Se voglio parlare o andare in un posto esco con gli amici quindi se esco con una…) dovete essere quello che la capisce profondamente. In linea generale basta annuire qua e là, dargli ragione e assumere un aria interessata anche quando vi parla di quanto è stronza la sua amica del cuore che ieri si è comprata il completino intimo sexy di hello kitty proprio uguale al suo (bleah!) anche quando poi cambia argomento per dirgli di quanto vuole bene alla sua amica del cuore perché “ha i gusti proprio come i miei, ci piacciono le stesse cose… e… …”.
Comunque, per dimostrare la vostra profonda comprensione del suo animo intimo e segreto dovrete solo sforzarvi di individuare quale dei quattro modelli lei prenda a riferimento per se stessa e lasciare andare un commento tipo “ehi, sai che parlando con te mi viene in mente Miranda, sei intelligente, ironica e parli bene …” oppure “Hai più classe di Charlotte, sei sicura di non abitare a New York?”. Omettete, almeno al primo appuntamento, qualsiasi riferimento a Samantha (anche se funziona bene dopo che avete preso confidenza…) ripensandoci su Samantha va alla grande “che storie, sei proprio una che gli uomini li maneggia come vuole, li prende, li lascia a seconda di come le occorre. Anche se scommetto (sorriso e sguardo intenso) che quando ti innamori sei dolce e fedelissima…”.
In ogni caso, qualsiasi frase utilizziate (fatelo anche random, va bene comunque), finite sempre con l’immancabile “ ma in fondo sei più simile a Kerry, indipendente, colta (?!), e decisamente sexy”… funziona, ve l’assicuro. Sono fatte così, hanno bisogno di modelli cui illudersi di somigliare.
Attenzione però che la cosa funziona meno con altre serie TV, quest’inverno a Lucca Comics, al banco del GLN dove presenziavo, si è presentata una ragazza, amica di non so chi. Il posto era pieno di Cosplayer, quei tizi che invece di vestirsi intelligentemente da orchi, elfi e guerrieri, si travestono da uomo ragno, sailor moon o altro. Ebbene io, convintissimo, le ho fatto i complimenti per il suo costume da Ugly Betty.
Non era un costume. Quindi occhio alla serie che scegliete.
Tornando all’origine del post, tutto questo mi ha fatto tornare alla mente l’amarezza per l’inconsistenza dell’universo femminile, almeno come lo percepisco io.
le dolci fanciulle di cui ci invaghiamo non cercano in noi un ragazzo/fidanzato/scopamico. Cercano più qualcosa tipo un animatore da villaggio turistico. Qualcuno che le faccia ridere, telefoni spesso (4 volte al giorno è il minimo per rassicurarle che le amate) salvo poi lamentarsi perché “non dici niente…” (cazzo, ti ho sentita a pranzo, ora sono le 17, nel mezzo ho dormito, cosa vuoi che ti racconti?), le porti fuori a qualsiasi ora (ma le amiche non ce le avete? O quelle sono solo per la Passerella il giovedì sera?), a cena, in giro, ovunque, l’importante è che non rischino di annoiarsi. Tappe d’obbligo sono l’aperitivo la domenica pomeriggio è d’obbligo, così come il mare d’estate. anche se devi lavorare tutta la settimana, il fine settimana è tutto, obbligatoriamente, loro. Sappiatelo.
Infine non dimenticate che l’animazione della relazione (concetto di alta psicologia di coppia postmoderna) include anche una profonda e reale considerazione dei loro Problemi. Sia si tratti di apparenti cazzate tipo che gli sia saltato l’appuntamento per la lampada (oh povere… ma attenzione, non sottovalutate questo tipo di Problema, potrebbe riverberarsi interamente addosso a voi e allora entra in gioco l’assioma, la soluzione al Problema è: non dartela…) sia che abbiano perso un parente. Considerando che hanno un Problema praticamente ogni giorno…

Bene. Questo è, in estrema sintesi (maschile) il rapporto uomo/donna aggiornato al 2009 ( a proposito non provate a dir loro che i test su facebook sono una cagata da sfigati come cento vetrine, grande fratello, talpa, amici, et similia e che guardare la TV di pomeriggio lo fa solo chi non ha un cazzo da fare nella vita, dire queste cose è un affronto che non può essere perdonato…).
Finalmente quindi ho capito CiòCheSiDeveFareAffinchéUnaRelazioneFunzioni. C’è però una cosa che sfugge.
Perché se a volte i problemi capitano a te, e purtroppo succedono anche a te, e magari il problema è di quelli che ti fanno stare male dentro, come se si fosse rotto qualcosa che ti legava a te stesso (e lei non c’entra, anche se magari potrebbe fare molto per aiutarti a riaggiustarti), il primo giorno sono amorevoli, anche un po’ invadenti come se si aspettassero davvero che il bacino sulla bua metta a posto le cose… (ah, la bua è sempre più in alto di dove diciamo noi…).
Ma poi, se stai male un po’ di più o dura un po’ di più (e stranamente i problemi seri, quelli difficili da esprimere, durano tutti di più…), allora iniziano i guai.
Smetti di essere interessante e divertente con loro e per loro, percepiscono che non hai molta voglia di andare in giro a “divertirti” se stai male… insomma diventi noioso e non vai più bene. E se non vai più bene hai un paio di giorni per rimetterti in riga (“io ho provato a farti capire che mi stavo allontanando, ma tu eri troppo chiuso in te stesso, non mi hai lasciato spazio” ipocrita del cazzo!) altrimenti saluti e tanto peggio per l’Ideale.
La cosa incredibile è che questo succede sempre con le tue storie importanti, non con quelle frequenti solo per aver qualcuna intorno o che non prendi in considerazione per altro che il letto (o la macchina, il dormitorio, i cessi della P.A. …).
È una realtà consolidata dall’esperienza. E anche se ora lo so, non mi abituerò mai.

mercoledì 3 giugno 2009

Swimmin’ in Marshmallow’s jam

Non è una canzone degli smashing pumpkins.
È la trasposizione figurativa della sensazione di impotenza assoluta, quasi onirica, in cui in certi passaggi dello stupido copione in cui sono invischiato mi costringono.
Immagino che succeda anche ad altri di passare momenti in cui qualsiasi cosa fai, dici, pensi, ti si ritorce inesorabilmente contro. Bene, oggi mi sono reso conto di nuotare nella marmellata con cui titolavo.
Non è tanto la sfiga, con cui convivo amabilmente da anni, quanto l’impossibilità fisica di arginare l’onda che sale. Pensate a quelle vecchiette che quando gli si allaga casa prendono scopa e cenci e tentano di spazzare in strada l’acqua che entra da tutte le parti. Quale gesto più sublime ed inutile di questo? Eppure… serve. Almeno non devono stare impotenti in un angolo a guardare l’acqua salire.
Se davvero questo blog fosse il mio personale surrogato dello psicologo, come a volte sostengo, ora seguirebbe una lunga elencazione di sventure di fronte alle quali mi pare di nuotare nella melassa… sono anche sicuro che tale elencazione farebbe deflagrare l’ilare sogghigno di molti (ad esempio sono assolutamente impotente contro l’assurdo vortice Kafkiano che ha ingoiato la mia macchina nuova, oppure verso il fatto che di fronte a Lei le parole mi tradiscano e, sensazione per me sconcertante, si tramutino, , in confusi balbettii e ogni mia affermazione, battuta, timido tentativo di conversazione divengano puttanate tragicamente fuori luogo, il cui unico risultato è farLe apparire in volto un’insegna luminosa con su scritto “ma che cretino”…).
Non ho però intenzione di fare tale elencazione catartica, preferisco soffermarmi sulla mancanza di rimedi escatologici (catartica… escatologici… parlo come un cretino, scusatemi, ma purtroppo i termini corretti sono proprio quelli li.).
Intanto, ad esempio, devo provvedere a farmi una ragione che l’assoluta onnipotenza della volontà è una cazzata.
non è un concetto filosofico di Nietzche, ma la favola educativamente propizia con cui hanno cresciuto tutta la mia generazione: “se vuoi ce la fai… se vuoi ce la fai”. Il mantra dell’inutilità. Spero che i genitori di oggi abbiano cambiato registro, magari con un più realistico “lascia perdere… fottitene.”
Dicevo, è una cazzata perché molto poco di quello che accade intorno a noi viene influenzato dai nostri desideri, azioni o sforzi morali. Almeno nulla di ciò che conta davvero. Noi, semplicemente, non facciamo la differenza. Ecco che allora viene a galla la frustrazione dell’impotenza quotidiana, diversa da quella del risultato impossibile che pure mi distingue, contro cui tendo costantemente e da cui il vento forte delle avversità mi respingono. In molti più campi di quelli che sarebbe per me salutare fossero.
Tutto questo mi porta a volgermi indietro e riguardare il cammino intrapreso per arrivare ad essere quello che sono e mi rendo conto che forse, forse, ci sono state occasioni in cui avrei potuto fare la differenza e non l’ho fatto. Prendiamo l’amore ad esempio (si lo so, lo prendo spesso ad esempio, ma che volete, devo pur far contente anche le telespettatrici... in fondo è un blog per famiglie).
Mi domando se in qualche punto, quando sono passato attraverso le molte separazioni conflittuali che mi caratterizzano, ci sia stato un attimo, anche uno solo, in cui avrei potuto voltarmi indietro, tornare sui miei passi, abbracciarla e dirle “non ti preoccupare, io sono ancora qua, andrà tutto bene” lenire il dolore, portare… serenità. Oggi, mentre digrigno i denti perché mi sembra di non riuscire ad andare avanti in nulla, a tormentarmi davvero sono quei quattro passi indietro che non feci.
Allora.