venerdì 29 luglio 2011

Warm Rain

Pioggia Calda. e' quella che cade quaggiu'. ogni sera verso le sei.
in un attimo ti fradicia fino alle ossa, ti soffoca di umidita' e smorza i suoni ed i rumori.
se non fosse che qui anche solo camminare e' rischioso sarebbe piacevole lasciarsi bagnare in mezzo alla strada. invece dovremmo fare piu' attenzione.
naturalmente alla fine facciamo proprio cosi', lasciamo perdere e camminiamo.
poi, all'improvviso come e' iniziato, finisce. e ti lascia un po' stordito e boccheggiante, tentando di prendere fiato nel calore umido che sale ovunque.
pero', in mezzo al monsone ho trovato anche un fiore. ed e' stata una splendida serata di parole e scambio.
Il viaggio continua sempre, l'indomani.

venerdì 8 luglio 2011

Il Vento Caldo

Mi sembra di essermi addormentato da appena cinque minuti quando un vento caldo entra dalla finestra spalancata, muove le tende, bianche come esotiche vele, e mi sveglia.

Mi ritrovo perfettamente lucido a guardare il buio che disegna volute d’ombra profonda sul soffitto, negli angoli. Da qualche parte, irraggiungibili come satelliti, i miei cuscini. Sto fermo e ascolto il silenzio.

Poi mi scuoto, guardo l’ora. È notte alta. Vorrei essere fuori, seguire per un po’ il richiamo che il vento caldo mi ha portato e che mi ha destato. Ho dormito per neanche due ore. Stavo sognando. Di solito ricordo sempre i miei sogni. Questa volta no. Spero tanto che non fosse ancora lei.

Odio quando sogno lei. Può raggiungermi solo lì, quando allento il controllo. Probabilmente dovrei semplicemente smettere di dormire per qualche mese e, dopo un po’, lei sparirebbe. Per sempre, spero.

In un attimo mi rendo conto che invece lo sto proprio facendo. Sto pensando a lei. Da sveglio. Mi scuoto e allontano la mente da luoghi troppo pericolosi. Allora penso all’India.

Quest’estate, anzi, tra poco più di un paio di settimane, partirò per il viaggio più fantastico, lungo , pericoloso e meraviglioso che abbia mai fatto.

È talmente vasto, lungo, alieno che neppure so bene cosa pensare, immaginare, fantasticare.

Un mese in india. Passando dal Rajasthan, il Punjab, il Kashmir, scendendo lungo il Gange, fino a Calcutta. Poi il deserto, i monti, i fiumi immensi, la gente, i templi e il Nepal, Kathmandu. Che nome fantastico, Kathmandu. Forse sarà un problema arrivare in Nepal. Attraverserò la frontiera in qualche modo, ancora non so come, ancora non so neppure se il visto sul passaporto mi permetterà di rientrare in India o mi condannerà a vagare per i monti più alti del mondo. Non conosco nessuno che sia mai stato in Nepal, a parte due ragazzi belga conosciuti ad Istanbul due anni fa. Ma loro stavano andandoci. Non so se ci sono mai arrivati.

Inizio a pensare a cosa mettere nello zaino. Ogni volta che parto di nuovo metto meno cose. Ogni volta che parto è come se ci fosse meno R. da vestire, nutrire e trascinare avanti. L’ultima volta avevo solo 4 magliette e due paia di pantaloncini. Stavolta porterò solo i miei sandali. Forse anche un paio di scarpe. Voglio anche una camicia. Ma poco altro. Certo avrò con me il mio poncho di lana ed il mio cappello. Ma non porterò il giubbotto. Né il sacco a pelo. Tanto dovrò dormire comunque dove capita. Posso farlo senza nulla.

Porterò qualche libro. Sicuramente J. Conrad, che è il libro che mi porto dietro in ogni viaggio, perché lo leggo solo in viaggio. Sono dieci anni che me lo porto dietro. È il libro cui sono più affezionato. Poi porterò un libro di Kipling, che ho comprato usato su una bancarella. Dentro ci sono tutte le opere meno conosciute. Tra queste c’è Kim. Mi sembra appropriato. Sono indeciso sull’ultimo libro. Forse potrei rileggere la città della gioia. Ma è scontato e l’ho già letto 3 volte. Rimangono in lizza le poesie di Rimbaud, il libro sull’Asia di Terzani e un libro di antropologia di Diamond. Ma anche una storia dell’Islam nell’asia centrale. Oppure un saggio di Chomsky sulla decadenza. Rimando la scelta.

Sicuramente porterò il mio vecchio quaderno di viaggio. È rilegato in cuoio, fatto da me. Un’antica medaglietta d’argento con i cento nomi di Allah è cucita ai lacci che lo chiudono. Infilati tra questi ci sono dei pennelli, un paio di matite, una penna. Dentro ci sono tutti i pensieri, le storie, i disegni dei miei viaggi precedenti. Io sono lì dentro. E ora penso a quali storie, quali volti, si saranno aggiunte al mio ritorno. Quante nuove pagine avrò riempito a settembre? Avrò altri disegni ad acquerello a ricordarmi le sensazioni ed i luoghi, qualche nuovo biglietto di treno a segnare una pagina, qualche indirizzo, nomi di ragazze che non vedrò più ma di cui sarò stato perdutamente innamorato per una notte appena.

Penso a come viaggerò. Come al solito sarà su treni e autobus fetentissimi, quelli con la gente sopra il tetto che sembrano avanzare lenti come ghiacciai, oppure a piedi, chiedendo passaggi qua e là. dormirò nei posti più squallidi, contrattando fino all’ultimo centesimo per ogni notte. Assaggerò cibi dai sapori indescrivibili, che però mi resteranno anni dietro il palato, ricordi fatti di semi di cumino, farina di manioca e spezie.

So anche che una volta partito mi lascerò indietro tutto. Niente responsabilità, niente preoccupazioni. Niente ricordi. Solo io, il mio zaino e il mio compagno di viaggio. non vedo l'ora di lasciare tutto questo schifo.

Nella mia mente le immagini, i filmati che ho visto, le cose che ho letto su quei posti si mescolano incoerenti con i ricordi che ancora devo avere. Mi vedo a cavallo di un cammello mentre attraverso il deserto del Tahir verso Birkaner e Jaisalmer, e anche se ancora non ho mai montato un cammello, ne sento già la puzza. Mi vedo arrampicarmi sui monti del Kashmir a bordo di un autobus sobbalzante, cercando di non pensare che ogni curva a strapiombo sul nulla potrebbe essere rettificata dall’autista ubriaco. Mi vedo seduto nel tempio dei ratti, dove chiederemo ospitalità per la notte. E poi ancora dentro vecchie rovine abbandonate, in moschee piene di brusii. E ancora, mentre mi immergo nel gange, accanto alle pire funebri che bruciano incessantemente ammorbando l’aria del puzzo dei cadaveri che ascendono al cielo.

Ma poi, quasi stanco di tutti questi posti che ancora devo vedere, la mia mente si aggrappa ad un’ultima immagine. Sono solo, di sera, seduto sul tetto di un treno che corre attraverso un paesaggio fatto di pianure sconosciute, con alberi fitti in lontananza e le stelle che si affacciano in alto. Sono finalmente tranquillo. Precariamente aggrappato con fatalistica noncuranza a qualcosa che mi porta lontano e mi solleva l’anima. Mentre sono lì, mi raggiunge ancora una folata di quel vento caldo che soffia da Jaipur, la città delle case azzurre, e che smuove le mie tende, mentre seduto sul tetto del treno, viaggio verso l’orizzonte. Un passo avanti a tutto.