domenica 19 giugno 2011

Mille grù di carta.


Un giorno di tarda primavera, un anno indefinito di quando andavo alle elementari, Andreas venne a trovare la mia famiglia.

Andreas era, anzi probabilmente, da qualche parte, è ancora, un ragazzo tedesco che girava l’italia in vespa. Proprio così, un vespino bianco, scarburato, che quando arrivò a casa nostra lo si iniziò a sentire dal fondo della strada.

Un po’ come quando arrivano i temporali. D’estate.

Senti i tuoni che brontolano e rotolano sulle montagne. Il vento, prima caldo, che ti soffia fresco addosso e poi l’odore della pioggia. Lo senti da lontano. Senti che qualcosa è cambiato. Di solito quando è troppo tardi.

Quei giorni che si fermò a casa nostra io lo seguii dappertutto. Mentre scriveva lettere che non sapevo leggere, mentre trafficava con la vespa. Mentre andava a fare la spesa ed io tentavo di spiegargli la differenza tra la passata di pomodoro e i pelati. Aveva persino problemi a distinguere tra olio extravergine e l’olio per friggere. Però ad entrambi ci piaceva una bevanda assurda degli anni ottanta, che si chiamava la uanouan. Ora neppure mi ricordo che sapore avesse. Ma al tempo ne andavo matto. Anche Andreas. Ma immagino che nessuno dei due fosse troppo normale.

Andreas parlava solo tedesco ed io al tempo, avevo già dimenticato quella lingua. Lui mi parlava, io annuivo. Ci guardavamo e nessuno capiva un cazzo. Una relazione tutto sommato soddisfacente.

Una volta, dopo che avevamo giocato ad un gioco la cui unica regola era tirare pallonate fortissime contro la porta dei garage, Andreas iniziò a fare delle piccole gru di carta. Sapete, quei piccoli origami a forma di cigno che però non sono cigni. sono grù.

Le piegava partendo dai miei fogli di quadernone (con le righe di quarta). Poi le lanciavamo dal balcone. Alcune volavano. Altre precipitavano. Mentre cadevano Andreas mi disse “kennst du, klein arschlock? Sie sind unsere Traumen. Wenn sie fliegen aus, sie eintreffen werden. Wenn sie fallen, sie treffen nicht ein.” Poi prese l’ultima e me la dette. “das ist fur dir, gute leben”.

Io naturalmente portai a scuola la grù di carta. A ricreazione iniziai a farla volare. Cavolo, quella volava proprio bene. Almeno finché non atterrò sul banco di Gianluca. Un pallone gonfiato di classe mia, cui non stavo simpatico e che, francamente, consideravo una specie di semianalfabeta montato.

Naturalmente iniziò a dire che ne avrebbe fatta una migliore. Che avrebbe volato meglio e più a lungo (lui però si esprimeva usando il presente e l’imperfetto, di più non era capace… quindi le se voleva esprimere un concetto complesso suonava un po’ tipo “io ne faccio una che volerebbe dove solo gli uccelli volavano che la tua gli farebbe una sega e a te ti sputazzo”).

Comunque provò e, naturalmente non ci riuscì. Io da parte mia non ero assolutamente capace di piegare la carta e ottenere animali in grado di volare. Per me era una specie di magia e Andreas un mago.

Gianluca provò un paio di volte, senza permettermi di riprende la mia grù. Poi disse che doveva guardare come era piegata dentro. Inizio a tirare la grù per la coda e per il collo.

Ora, le grù di carta, se vengono tirate protestano pigolando in modo straziante e spiegano le ali più che possono per cercare di scappare. Così fece anche la mia, mentre io imploravo Gianluca di smettere e di restituirmi la grù. Lui mi guardò, sorrise come un imbecille. E strappo a metà la grù. La guardò e ridacchiando mi lanciò i pezzi. “io l’aveva detto che non funzionasse”.

Mi incazzai, ma contro gli stupidi non c’è mai lotta, vincono sempre loro. Se vogliono qualcosa o l’ottengono o la distruggono, altro non son buoni a fare.

Peccato per la mia grù. A me piaceva, ci tenevo tantissimo. Era una cosa bellissima. Volava e avrebbe portato i miei sogni lontano. Era qualcosa che io non sapevo fare, ma che qualcuno aveva fatto per me.

E magari, pensai, avrebbe potuto rifarla.

Per tornare a casa corsi, io avevo un sacco di fogli di quadernone (con le righe di quarta). Andreas mi avrebbe fatto mille grù di carta. E avrebbero volato tutte!

Invece, quando arrivai a casa, non c’era più Andreas. né la vespa bianca. Erano partiti. E io non sapevo fare le grù di carta e i miei sogni non si sarebbero più avverati. Mi misi a piangere, a quel tempo ancora mi riusciva.

Quella fu la prima volta che pensai che è proprio da stupidi distruggere qualcosa che poi non si è in grado di costruire.

Anche oggi non ho più una grù di carta in grado di volare. Non ho neppure più un quadernone (con le righe di quarta).

Che cavallo! (qualsiasi cosa voglia dire, con la risata stupida che segue sempre).