giovedì 22 aprile 2010

Orchidee

Per chi non lo sapesse, io adoro fuggire.

È la mia reazione naturale. Dalla gente, dalle paure, dalle responsabilità, dai rapporti e… dal lavoro.

Così ogni tanto, quando sto arrivando al limite della mia sopportazione, invento una scusa e saluto tutti.

Di solito neppure mi impegno troppo nel cercare la scusa adatta e così me ne esco con cose tipo

- uhm… no, non vengo a cena, grazie.

- Perché?

- Ecco, perché… perché devo far un po’ di cose, tipo… no sai… uhm, devo guardare la TV, c’è una cosa che devo assolutamente vedere, sai, l’ho programmato da una settimana e…

- E cosa è?

- Uhm… un film.

- Ah si? E come si intitola?

- Ecco… in realtà sto un po’ male e non mi sento…

Tutututututututututututu

Quando fuggo di solito sto da solo. Per lo più in posti strani.

Oggi pomeriggio, ad esempio, troppo distrutto per anche solo pensare alla montagna di atti giudiziari da redigere, alle probabili telefonate insulse cui dovevo rispondere e ai rari clienti da accudire, non sono tornato in studio dopo le cinque. Ho preferito accompagnare mia madre alla serra più esclusiva di Prato per comprare l’oro, l’incenso e la mirra con cui salutare anche quest’anno l’avvento della primavera…

Se non ci siete mai stati, continuate così. In ogni caso che non vi venga in mente di frequentarla nei pomeriggi infrasettimanali.

Il gotha delle ricche nullafacenti si ritrova là per festeggiare la propria inutilità formando capannelli estasiati di fronte ad improbabili ghirigori vegetali e rarissime specie di piante esotiche dai nomi, perlopiù, di fantasia.

Il mio ingresso naturalmente non passa inosservato. In fondo ero l’unico maschio adulto presente.

Inoltre indossavo la giacca sui jeans strappati e le scarpe gialle.

Ecco, l’unica altra persona che conosco che indossi scarpe gialle è Topolino. Fateci caso. Nessun’altro. Non di quel giallo pieno, almeno.

Comunque sia, faccio la facciaferoce e passo oltre. La facciaferoce di solito la riservo al supermercato. Ma data l’occasione…

Fatti pochi metri noto che mi sbagliavo. Non ero l’unico maschio presente.

E neppure l’unico in giacca, se per questo. Eravamo in due.

- Guarda, quello è l’ex sindaco…

- No ma’. L’ex sindaco è grasso e con la barba…

- Non quello, quello prima. Quella è la moglie. Viene in palestra. È tutta rifatta.

Raccolgo diligentemente l’informazione, chissà che non torni utile prima o poi. Magari potrei ritrovarmi ad uscire con una cui interessino i pettegolezzi del jet set di provincia, non si sa mai…

Dopo una mezz’ora di indecisione, mia madre sceglie estasiata l’ennesimo vaso, io le prendo il terriccio e mentre lei fa la fila alla cassa (in una serra! Di mercoledì pomeriggio! Era sesta e dietro ne aveva altri 3, tra cui l’ex sindaco con la barbie…), faccio un giro.

Ho sempre adorato le piante. Mi piacciono un sacco. Soprattutto quelle strane o esotiche.

Ed infatti ad un certo punto passo davanti alle orchidee. È la stagione della fioritura e sono bellissime.

Mi fisso di fronte ad una in particolare. È enorme e ha un sacco di fiori bellissimi. Porpora intenso screziati di bianco. Le radici aeree disegnano geometrie fantastiche in aria, gli steli svettano.

Inizio a pensare a dove metterla in casa.

Sì, perché ho sempre avuto piante in casa da quando abito solo.

Ho avuto un ulivo. Che è morto nel giro di un paio di mesi. Peccato, mi piaceva un sacco l’idea di avere un ulivo in soggiorno.

Ho avuto 4 bonsai. Hanno avuto tutti una lunga agonia.

Una bellissima azalea? Un mese in casa, un paio d’anni in terrazzo nella veste di memento mori.

Per un periodo ho anche fatto finta che mi piacessero gli arbusti morti. Infatti ne avevo una collezione: l’azalea, l’ulivo, i bonsai, le piante officinali…

Con le piante carnivore andò un po’ meglio. Alcune durarono anche un paio d’anni. Ma quelle si sa, non hanno bisogno di molto. Se hanno fame si servono da sole.

L’hanno scorso comprai anche un bellissimo cesto che ho riempito di orchidee di varie misure e colori. Lo guardavo a lungo e cercavo di capacitarmi di come dei fiori così belli non avessero odore… l’ho ancora. Il cesto intendo. Le orchidee sono dentro, morte e sparpagliate, insieme al ficus. Una mensola più in alto.

Ma cavolo, quell’orchidea di oggi. Era lì, bellissima, piena di vita, di colore, di sole. La guardavo e mi ricordava una canzone cantata a squarciagola in un cortile, girando in tondo in bicicletta. Quando potevo ancora permettermi di farlo, naturalmente.

L’accarezzai. Piano, appena sfioravo i petali, le foglie. Il colore, bellissimo, mi chiamava.

La presi in mano, la soppesai. Naturalmente potevo permettermela senza pensarci. Fare l’avvocato ha i suoi vantaggi.

Mi avviai alla cassa.

Mia madre la vide e restò estasiata. Mi incoraggiò nella scelta e fece un passo avanti. Toccava a noi.

Io, a quel punto, mi voltai e tornai indietro. Posai l’orchidea e le diedi un’ultima carezza, quasi potesse sentirla davvero.

Tornai da mia madre e senza una parola presi i vasi, il terriccio e mi avviai alla macchina.

Caricato, con molta fatica, il tutto mi volto e faccio per entrare in auto.

Vedo uscire una signora, non troppo anziana, non troppo giovane. Spinge un carrello carico di piante. Tra queste, da una parte, la mia orchidea.

Mi fermo e la guardo passare, quando arriva alla mia altezza alzo piano un mano e la saluto, silenzioso.

La signora mi guarda un po’ indecisa e poi mi risponde: – buonasera.

E passa oltre.

Mia madre mi dice che sono stato stupido a non prenderla e che l’avrei rimpianta.

E infatti ti rimpiango già. Non è indifferenza la mia sai? semplicemente preferisco che anche tu, come l’orchidea, non appassisca in un angolo della mia vita, travolta dalla quotidianità e dal sentimento troppo diluito.

Ho preferito rinunciare a te ancora prima di averti, sicuro che ti vedrò con altri, che forse si prenderanno cura di te in maniera più appropriata di quanto potrei mai fare io. Non voglio rischiare di spegnere i tuoi colori come è successo già con tutte le altre orchidee della mia vita. Ma è vero, ti rimpiango già.

1 commento:

  1. la bellezza e la vitalità dei colori di quell'orchidea erano nel tuo sguardo e nelle tue carezze. ora che ne è priva, è arida e appassita anch'essa: la rinuncia salvaguarda più te che il bel fiore.

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