venerdì 2 aprile 2010

A night of cats and flames


Per quanto vi possa sembrare irreale ho sempre odiato che altri stessero male a causa della mia inerzia, negligenza o paura. Ho sempre preferito agire io piuttosto che aspettare, con il rischio, magari, di precorrere i tempi e pentirmi poi di quello che ho fatto. Succede spesso.
Successe anche molti anni fa, quando io, appena 16enne, rifiutandomi di seguire i miei al mare, mi trovai a passare un fine settimana da solo in casa, insieme ad una gatta incinta.
Vi avverto subito, è una storia triste, che va smorzata per essere digeribile. Pertanto la servo frammista a qualcosa di allegro, come si fa con le medicine troppo amare, cui si aggiunge un po’ di zucchero per buttarle giù.
Ecco quindi che ieri notte che vengo destato per andare a salvare l’ennesima vita nei panni segreti di supereroe che, con un po’ di intimo schifo, vesto una volta a settimana.
Il grido di aiuto che attiva i power ranger è di quelli seri: codice rosso (e già l’adrenalina dovrebbe salire alle stelle, mentre la musica di sottofondo cambia in qualcosa di veloce ed evocativo… peccato non si verifichino mai nessuna delle due evenienze).
E poi ancora: auto ribaltata in fiamme sulla tangenziale. Strano penso dentro di me. Non sono eccitato neanche un po’. Un tempo sarei saltato su come una molla troppo carica, ora vorrei solo continuare a dormire.
La gatta incinta, che era davvero molto incinta, scelse proprio quel fine settimana per mettere al mondo un numero spropositato di adorabili batuffoli di pelo, orecchie e zampe, con gli occhi ancora ciechi e l’espressione inequivocabilmente stralunata e smarrita.
Ed io dentro di me inorridii.
E ora cosa faccio? In famiglia tutti erano stati chiarissimi sul fatto che non avremmo potuto tenerne neppure uno. In effetti avevamo ben 3 gatte, di cui 2 figliavano ad intervalli molto ravvicinati. Avevamo faticato non poco a dare via l’ultima mandata e, oramai, avevamo esaurito tutti gli amici ed i parenti entro il 6° grado.

Arrivati sul posto lo scenario si fa subito esaltante. La macchina è effettivamente in fiamme e la scena discretamente apocalittica. Il buio, la pioggia, il rumore delle fiamme e degli idranti dei pompieri che creaano un denso fumo grigio oro che ci avvolge tutti.
Fiamme alte. I pompieri diranno 6 metri almeno, ma non è vero, si sa che per loro l’altezza delle fiamme è direttamente proporzionale alla lunghezza del loro pisello. Quindi tendono ad esagerare.
Improvvisamente la telecamera mentale che mi segue sempre fa un piano lungo, invertito, per poi zummare sulla mia espressione compiaciuta. Quando vedo un disastro epico o una situazione di caos potenziale sono sempre interiormente felice. È il mio bambino interiore che gode del marasma e spera sempre che sia successo qualcosa di irreparabile. Che ci sia una vittima da sacrificare a qualche oscura divinità primordiale che alberga nel mio cervello.
Un attimo di delusione e il sorriso sparisce. Nessuna vittima, il ragazzo è vivo, conciato male, ma vivo.
Mancavano ancora 2 giorni e mezzo a che quel maledetto weekend finisse ed i miei tornassero per assumersi le loro responsabilità di genitori, mediati, di 6 o 7 gattini appena nati. Ed io nel frattempo ero solo alle prese con i miei dilemmi morali.
Infatti la tradizione popolare vuole che i gattini che non si vogliono tenere vadano tolti immediatamente alla neo mamma, in modo che questa non faccia in tempo a contarli e ad affezionarvicisi. Mi piacerebbe applicare lo stesso criterio anche nel reparto maternità. Magari anche le cinesi non sanno contare…
Quindi onde evitare alla gatta strazianti giorni di dolore in cui vaga per casa e boschi in cerca della prole dispersa, dovevo fare qualcosa. Subito.
Naturalmente gli altri power ranger si sono gettati immediatamente sulla preda. Li guardo operare con la massima efficienza possibile. Un medico, un infermiere ed un promettente aspirante medico. Nessuno di loro sembrava avere bisogno di un avvocato, quindi mi tiro in disparte, ad osservare con calma la scena. Ridley Scott ne sarebbe stato entusiasta. La fotografia è degna dei migliori scorci in Blade Runner. A me ricorda un po’ le immagini trite dell’undicisettembre: pompieri qua e là, fiamme, fumo, un casco da pompiere rovesciato e, apparentemente abbandonato, che fa molto tragedia.
Per fortuna a ricordarmi che non stavo vivendo un film ma solo la fantastica verità della vita arriva la seconda ambulanza di un’altra associazione, da cui scendono in ordine un cesso basso ed un cesso alto che immediatamente si gettano nell’azione. Si avvicinano al mezzo ribaltato (probabilmente hanno istruzioni segrete da trasmettere ai pompieri…) e, solo ora noto una cosa incredibile. Una di queste eroine è… incartata. Letteralmente. In una specie di carta stagnola dorata che noi chiamiamo telo termico. Probabilmente la sua intenzione era ripararsi dalla pioggia. L’effetto finale è quello di un uovo di pasqua. Quando si avvicina (forse ha istruzioni segrete anche per me…) non posso fare a meno di ridere e di risalire sull’ambulanza. Non so cosa volesse. Non l’ho neppure ascoltata.
Allontanare i gattini dalla mamma è facile. Li misi in una cesta e li portai in giardino. Cosa farne era molto, molto più complicato.
La mia mente si riempì di modi orribili di porre fine alla vita. Nessuno dei quali mi sembrava particolarmente umano o caritatevole. Provai anche a chiudere gli occhi, per vedere se poi sparivano. Si sa mai, magari che dio c’è.
No, dio evidentemente non c’è. O magari stava semplicemente godendosi la scesa e non voleva interferire con i miei tormenti (anche in futuro sarà sempre così, mai una volta che dia una mano…).
La saggezza telefonica di mia nonna pose fine alla mia disperata ricerca: “se li chiudi in un sacchetto ben stretto, si addormentano e muoiono nel sonno. Senza accorgersene”. Grandioso. Avevo un sacco di sacchetti. Speravo solo che loro avessero sonno.

La macchina è quasi spenta. Si tratta di una mini cooper. Ottimo, adoro le mini in fiamme. Ho sempre odiato i fighetti con la mini. C’è una sorta di giustizia divina nel fatto che vadano a fuoco.
Questo qui poi ha la patente da 2 mesi ed è un fighetto discotecaro. Probabilmente gioca a calcetto. La divinità primordiale nella mia mente brama sempre di più il suo sangue. Invece dovrà accontentarsi di un bel pezzo della sua faccia.
Mentre sono assorto in questi pensieri arriva il caposquadra dei pompieri con una scarpa da calcetto in mano. -Quante scarpe ha? mi domanda. - Due, come tutti, rispondo (si, hai ragione Y., stasera è serata di sarcasmo fuori luogo).
Invece il problema è serio. Non torna il conto delle scarpe. I pompieri si guardano i piedi e mentalmente le contano. Due ognuno. Bene. Due anche per me e per i miei. Occhi puntati sui carabinieri. Due ognuno anche loro. Di chi cazzo è la scarpa? - Di quello carbonizzatooooo, lalalaaaaa, evvvivaaa… urla la mia divinità personale.
Il dottore si china sul fighetto e gli domanda se fosse solo in macchina. – Si.
Altro giro di consultazioni, i carabinieri aprono le indagini nel vicinato. Di chi è la scarpa? Passano minuti grevi di angoscia. La scarpa è sempre li, che fa finta di nulla, la puttana.
Poi si avvicina un pompiere e domanda allo sventurato appassionato di calcio e idolo delle ventenni che sanno come divertirsi: è tua la scarpa? Questi risponde ancora di si.
Ma potrebbe mentire. Tutti mentiamo sulle scarpe. Io ad esempio parto sempre col provare il 44. poi immancabilmente compro il 42 e mezzo.
Quindi l’indagine entra nel vivo. Colgo un carabiniere che osserva con attenzione le mie scarpe e quella che ha in mano. Magari, sembra ipotizzare, potrebbe essere una scarpa che tengo di scorta.
Infine si decide e chinandosi sul ragazzo lo apostrofa -si po’ sapè di chi minchia è sta scharpa ahé?
Il ragazzo finalmente si desta dallo stato di shock e inizia ad urlare – è mia, *orca *adonna, è mia, mia, mia, mia….” Attacco le sirene e mi dirigo verso l’ospedale. Ghignando come un deficiente.
Fatto. Tutti i gattini sono nella busta. Azzurra, me lo ricordo ancora. Si muovono appena. Mi siedo accanto a loro ed aspetto. Non ho il coraggio di lasciarli soli. Vorrei fuggire ma non posso. Non funzionerebbe. Come non ha funzionato chiudere gli occhi.
Passa un’ora ed effettivamente non si muovono più. Molto.
Ne passa un’altra, è buio ed io sono seduto fuori in giardino, solo con un sacchetto di gattini morenti.
È un sabato di merda, ma io lo odio comunque, il sabato.
Allo scadere della terza ora muovo la busta. Sono tutti morti. Tutti, tranne uno. Questo è vivo e continua a spingere verso l’esterno. Ne sento la testolina che batte contro le pareti di plastica.
Cerca con tutte le sue forze e a lungo di liberarsi. Ma è una lotta vana.
Non può vincere. È solo, contro un destino che non conosce, che non può vincere e lotta, senza denti né unghie. Con gli occhi chiusi.
Meriterebbe di vivere, sicuramente più dei fighetti con la mini.
Ma non succederà. Lo accarezzo attraverso la busta e penso che è destino. Che posso salvarlo, che lo farò, lo tirerò fuori di lì e in culo tutti.
Che ce la sta facendo. Che…
È proprio come mi sento io oggi. Lotto senz’armi per togliermi il sacco di plastica che mi soffoca. Che mi è stato imposto da qualcun altro, contro cui, in realtà, non posso fare proprio nulla.
E come allora, so già che nessuno aprirà il sacchetto di plastica.
Anche oggi la lotta è vana.

2 commenti:

  1. Cazzo,ma ti sei scordato l ustione da sfregamento alle fiamme!

    P.S: il tuo amore per i gatti e' sorprendente

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  2. mha, il racconto è un po' lunghetto e senza figure quindi ho saltato da un versetto all'altro, pero' è molto bello
    sono fiero di te perché se ho capito bene hai soppresso quelle inutili bestiacce alle quali sono tanto allergico
    ti rinnovo gli auguri, in questo lunedì di pasquetta piovoso e palloso


    DA OPERA VT IS VALEAT QVONIAM FORTASSE DEAMONIS TIMET!
    [ID EIVS EX EPIGRAPHE VIDETUR]
    ---------------------------------------------

    "..ET FACTVM EST PRAELIVM MAGNVM IN COELO
    QVD ET ANGELI EIVS PRAELIBANTVR CVM DRACONE
    ET DRACO PVGNABAT ET ANGELI EIVS
    ET NON VALVERVNT NEQVE LOCVS INVENLVS EST
    EORVM AMPLIVS IN COELO"

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