giovedì 22 luglio 2010

Summer Snakes

Che palle.

Arrivare alle tre e trentacinque rigirandosi nel letto sforzandosi di dormire.

E invece riesco solo a pensare a storie prive di senso e pensieri girovaghi e tortuosi, che si rincorrono seguendo intricati percorsi fatti di memoria, rancori e tanti se.

Decido di arrendermi all’evidenza. Niente sonno. Tanto vale scrivere.

Scrivere di tanto tempo fa. Di quando da grande volevo fare il naturalista.

Ecco, a pensarci bene fare il naturalista mi sembra un po’ generica come professione. Un po’ sfumata.

Ma era comunque un passo avanti. Alle elementari infatti avevo in testa un’altra professione. Volevo fare il principe. La vedevo come un ottima scelta. Mi piaceva tutto dell’idea di fare il principe da grande. Soprattutto la spada, il cavallo e la principessa. Anche la guerra immagino.

In classe mia, alle elementari, non è che godessi di un’immensa popolarità. Tutt’altro.

L’idea che volessi fare il principe poi infastidiva molti. Si perché gli altri, i normali, si dividevano in futuri calciatori e futuri poliziotti (alle ragazze non ho mai chiesto cosa volessero fare da grandi. In realtà alle ragazze non credo di aver chiesto proprio nulla alle elementari. Per me erano parte della classe, come i banchi e le sedie, solo che loro, stranamente, facevano educazione fisica con noi, i banchi no).

E incredibilmente a dirsi, i calciatori erano più simpatici. I poliziotti invece non li sopportavo proprio.

Avevo con loro tutta una serie di discussioni incentrate sul ruolo politico-sociale che le rispettive figure lavorative rivestivano per la società contemporanea. Soprattutto alla luce delle teorie di Foucault.

- Da grande farò il poliziotto perché è il più meglio assai (che ci volete fare, abitavo a San Paolo…)

- Ah si? Io invece faccio il principe.

- Il poliziotto neppure lo sa cosa che minchia è un principe (questo probabilmente è vero…), perché è più importante lui assà.

- Il principe se vuole licenzia il poliziotto.

- I poliziotti sono fichi. Hanno le pistole e se vogliono ti sparano e poi t’ammuortano ( evidentemente Nicola studiava logica aristotelica…) .

- Io ho la spada e comunque ho l’armatura. Puoi sparare quanto vuoi.

- E iì t’arrest’!

- E io ti faccio decapitare te e tutta la tua famiglia.

A questo punto era troppo tardi per salvarsi dalle botte che inevitabilmente prendevo a raffica da tutti i futuri poliziotti presenti. Erano decisamente troppi.

Il problema è che a me i libri avrebbero dovuto levarmeli subito, finché avevo ancora speranza di diventare un ragazzo normale. Magari dovevano obbligarmi a giocare a calcio… ora sarei fidanzato, probabilmente.

Come la storia del naturalista di cui vi dicevo…

Il problema è che avevo scovato l’anello di re salomone, libro capace di traviare anche le menti più solide con storie di anatre e pappagalli. Scritto da Konrad Lorenz.

La mia idea quindi era di vivere in una casa di campagna circondato da tutti gli animali che mi piacevano di più, tra cui rientravano, abbastanza incompatibilmente, orsi e leoni, ma anche papere, scimmie ecc. ecc.

Nel libro si diceva come lui avesse iniziato studiando la natura e raccogliendo ogni tipo di animale.

Ecco, se quello bisogna fare per essere accettati quali naturalisti, bhé, quello avrei fatto.

Così le mie estati dagli zii, dove l’immensa campagna maremmana ampliava moltissimo le mie possibilità, divennero infiniti giri solitari, nelle ore più impensabili, alla ricerca di tutti gli animali. Noè mi faceva un sega a me.

Quel pomeriggio in particolare era di canicola pesante. Tutti dormivano o riposavano in pace da qualche parte all’ombra. i miei erano al mare, che è a due passi. Io non avevo voglia di dormire. Ho sempre odiato dormire per la verità.

Così mi incamminai per la strada che divideva i casolari dei miei zii, poco oltre le stalle. L’unica sveglia a quell’ora era Rondinella, che era il cavallo di mia cugina e che occasionalmente potevo cavalcare anch’io.

Mi ricordo perfettamente la strada, circondata dai campi. Tutto intorno a me era giallo o ocra intenso. I campi di grano, le sterpaglie, i campi di girasoli. Persino le colline verso Allumiere erano ocra bruciata. E così per chilometri. Camminavo lungo la strada, uno stretto nastro di asfalto che da una parte raggiungeva l’aurelia.

L’aria vibrava di colore, le immagini tremolavano e in mezzo andavo io, vestito nei modi assurdi in cui si vestono i bambini se li lasciate fare. In testa avevo il cappello dei mangimi purina. Ne andavo fiero, perché nella mia mente assomigliava molto ai cappelli con la falda ripiegata dei soldati australiani. Almeno nei soldatini che avevo io. Ai piedi dei sandali di gomma rossa mezzi rotti, del modello che, se eri un bambino negli anni ottanta, non potevi non avere. Ti facevano puzzare i piedi in modo fantastico. Un giorno con quelli e la sera potevi stare ore ad annusarti i piedi e a togliere le pellicine. Probabilmente era per questo che i bambini di allora li adoravano.

In mano uno stecco lungo, un po’ fucile e un po’ spada. A seconda delle situazioni.

Camminavo e ogni tanto entravo nei campi. Quelli che mi ispiravano di più, alla ricerca di animali. Speravo di trovare i conigli o le volpi che si incrociavano la notte, su quella stessa strada, quando venivano stanate dai fari dell’auto e restavano a fissarti con gli occhi luminosi finché non passavi.

Invece trovai una vipera sotto un sasso. Grossa anche.

A me i serpenti hanno sempre fatto paura. Ma ero un naturalista. E i serpenti... Beh, non ero troppo sicuro ma… magari Lorenz l’avrebbe presa con se. Aveva preso le allodole e le anatre.

Mi avvicinai e lei si mosse. Troppa fifa per fare altro: trasformai il mio stecco in una spada e vibrai un paio di fendenti alla testa. Lei morì travolta dalla mia superiore abilità con la spada. Avevo ragione io. Gli fa una sega il poliziotto al principe.

Avevo un trofeo e… si, potevo comunque studiare la vipera morta. Corsi indietro e sgattaiolai in cantina, dove erano riposti i barattoli per quando si sarebbe fatta la conserva, appena avessimo finito di raccogliere i pomodori dai campi.

Tornai sul posto e, dopo un po’ di esitazione presi la vipera per la coda. Cazzo se era grossa. Tenendola davanti a me quasi toccava terra. Quasi. La infilai nel barattolo e tornai verso casa. Sapevo che dovevo immergerla nell’alcool se volevo che si conservasse (non ho mai capito perché i bambini, tutti i bambini, sanno queste cose assurde… è l’istinto di chi si mette nei guai?).

Quindi giunto a casa prendo un boccia di alcool rosa, apro il barattolo e inizio a spruzzare la vipera, nell’intento di sommergerla.

Solo che dopo pochi secondi questa inizia a muoversi, agitandosi un sacco e sbattendo da tutte le parti per tentare di uscire dal barattolo (questo a Lorenz non era capitato di sicuro, merda). Non so con quale istinto ma tappai subito il barattolo.

La vipera era chiusa dentro, incazzata per lo scherzetto dell’alcool e mi guardava con uno sguardo molto poco rassicurante. Almeno pareva a me.

Che cazzo ci facevo ora con una vipera incazzata in barattolo? Di liberarla neanche per idea. Ora sapeva anche dove abitavo.

Perché quando servono gli adulti non ci sono mai? Dovevo cercarne qualcuno. Qualcuno in gamba. l’unico posto che mi veniva in mente era il bar del paese. È sempre aperto e c’è sempre qualcuno. Ma era tanta strada da fare a piedi. Quindi il principe naturalista si ricordò del suo cavallo. Era bianco, si chiamava Graziella e aveva un pedale fatto di legno e scotch. Perfetto.

L’unico problema era dove mettere il barattolo. Nel portapacchi neppure per idea. Se si liberava non volevo averla alle spalle mentre pedalavo ignaro. Nei film finivano sempre male quelli che pedalavano ignari con il pericolo alle spalle. Eppure c’era anche la musica che cambiava, avrebbero dovuto accorgersene. Invece mai. Non si rendevano mai conto di un cazzo e continuavano ad andare e aprivano quella cazzo di porta.

Allora, pensai di metterla davanti a me in un cestino. Che la bici non aveva. Ma la zia si. Se ero veloce, magari non se ne sarebbe mai accorta. Tanto ci teneva solo gli aghi e i fili.

Legato alla meglio il cestino alla bici ci ficco dentro il barattolo con la vipera che pareva ancora maledettamente incazzata. Porca merda.

Mezz’ora di terrore dopo ero dentro il bar. Era uno di quei bar che vendevano di tutto, dai gelati alla pasta, dal sugo ai sottaceti. Era buio come erano tutti i posti pubblici d’estate, prima che arrivasse l’aria condizionata. Ed era semivuoto. Un paio di ragazzi ai videogame, il barista addormentato sulla sedia vicino alla cassa, un paio di signore sedute che si sventolavano con i ventagli e che, annoiate, aspettavano di morire.

È incredibile come i bambini sopra i 5 anni divengano improvvisamente invisibili. Fina 4 anni, 11 mesi e 30 giorni, ovunque vadano vengono circondati da folle affettuose intenzionate a chiedergli le cose più assurde, così, per vedere se sanno parlare, o a tocchicchiarli ovunque, nella speranza che questi siano così educati da ridacchiare. O peggio, tentano di baciarti. Io odiavo essere baciato e toccato. Soprattutto dalle vecchie.

Comunque in quel periodo ero,come ho detto, invisibile.

Infatti entrai e nessuno mi cacò nemmeno di striscio. Faceva troppo caldo per cacare un bambino con un cappello ed un barattolo, immagino.

Mi resi conto che non c’era nessun adulto rassicurante a cui affidare la vipera, la quale, tra l’altro, nel frattempo pareva essersi un po’ calmata.

Ci pensai su e decisi che questa storia mi aveva un stufato.

Pensai quindi che, se avessi lasciato la vipera da qualche parte, qualcuno l’avrebbe trovata e avrebbe risolto il problema. Tuttavia ora io non volevo più entrarci nella questione. Infatti, passata la paura, mi rendevo conto che, se qualcuno raccontava ai miei che me ne andavo in giro con un serpente velenoso in un barattolo, ne avrei buscate fino a natale. E natale era lontano.

Quindi di lasciarla sul bancone neppure per idea.

Mi guardai intorno e la soluzione venne da se. I sottaceti. Splendido, i barattoli erano anche simili.

Appoggiai con discrezione il barattolo sullo scaffale, lo spinsi dietro la prima fila e mi defilai.

Chi abbia trovato la vipera non l’ho mai saputo e Konrad Lorenz aveva smesso di essere questo mito assoluto.

2 commenti:

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  2. è che anche d'adulti si può essere ignorati. Lì, tutti intorno a te, e tutti che guardano sopra la tua testa.

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