martedì 7 settembre 2010

Crashes


Pensieri. Penso che ho ricevuto il mio regalo di compleanno sabato notte, verso le tre. Assolutamente inaspettata. ti sei presentata a casa mia con naturalezza ed un candore di cui non ti credevo capace. E pensare che non ci parlavamo da secoli. All’improvviso eccoti li, con un sacco di parole affastellate e, bhé, un sacco di altre cose, tutte bellissime.
Era una notte che da triste stava volgendo in meglio. Sembrava una canzone o un pezzo di una serie tv, di quelli in cui la camera parte dalla porta chiusa, con il suono del campanello. Il protagonista, che come me è sempre sveglio e vestito, si avvicina di spalle alla porta e la apre. Stacco sul volto di lei, sorriso, la camera in esterno, lei che entra, la porta si chiude, dissolvenza. Mattina.
Ecco, esattamente così. Solo che io la parte nel mezzo l’ho vissuta.
Codice giallo, sto ripartendo lentamente, distaccato. È tardi e l’ambulanza mi sembra così pesante, così lontana dai miei pensieri. Mi avvio piano e attraverso il semaforo rosso e deserto. A quest’ora non c’è nessuno per strada e sono in una zona che conosco benissimo. La faccio tutti i giorni. Tutto è così silenzioso. Non accendo neppure le sirene. Non c’è n’è bisogno e poi io odio le sirene. Mi gridano addosso ed io odio le grida.
Abbiamo parlato per ore e, per una notte, tutto mi sembrava a posto. E i miei mille pensieri accantonati, rimossi e lasciati fuori. Con te quella sera mi pareva di volare alto, molto al di sopra di me stesso, dell’esame imminente, della fatica e della mancanza di sonno.
Io penso che la vita sia fatta a cerchi, per cui le cose iniziano e finiscono. Ma poi tornano sempre e tutto quello che ha avuto inizio avrà una fine che sarà un nuovo inizio. Un concetto molto zen e molto happy days, quasi mi viene voglia di cancellarlo tanto poco mi si addice. Ma è proprio così che va.
Aggeggio con la radio, invio i codici nell’ordine corretto: 2nd-3-0-02-S, che in italiano vuol dire più o meno stiamo arrivando e portiamo qualcuno che sta male ma non tanto male da aver bisogno della sala rossa. È tutto così automatico è tutto così facile…
La mattina sei andata via e io mi sono accorto che ero stato… colonizzato. Proprio così, mentre non guardavo, ti sei presa il mio cassetto. E ci hai lasciato il tuo pigiama (e il fatto che tu ti sia presentata al tuo primo appuntamento portandoti dietro il pigiama già è indicativo di per se…:-), in bagno il tuo spazzolino. Mi è venuto da sorridere. In questa storia non ero io ad avere l’iniziativa. Per niente. Ma va bene così in fondo i miei giorni trascorrono sui libri, come se fosse una tortura. Sono 3 mesi che non è passato giorno che non mi abbia visto per almeno 6 ore sui libri. E i giorni di 6 ore erano vacanza per me. Quindi, se qualcuno decide per me, a me va bene.
Chi cazzo me l’ha fatto fare. Io volevo fare l’archeologo, non l’avvocato. Ingranaggi. Girano e ti catturano, passa il tempo, c’è un sacco di movimento e tu sei comunque sempre ancora lì, preso nel mezzo.
La strada è dritta. Rassicurante, la velocità adeguata alle circostanze, abbastanza lenta e costante da garantire un viaggio senza scosse. La radio bippa. Leggo il codice. 02. Cazzo, ho sbagliato a digitare qualcosa. Devo inviare di nuovo tutto. Inizio a scrivere di nuovo, l’ambulanza procede spedita.
La sera dopo infatti sei tornata. All’improvviso, di nuovo. E i discorsi tra noi si sono fatti più seri. E io ho capito che quelle parole, quelle carezze, quelle emozioni, erano nuove ma già vecchie. Le avevo già vissute, le avevo tutte già sentite. Anche questa è una storia che si ripete. E io non posso farmi prendere di nuovo dall’ingranaggio. È più forte di me. Vorrei lasciarmi andare, vorrei aprirmi, seguire il corso delle cose, fottermene delle conseguenze o fare finta che, come dici tu, il passato non ci sia.
Vorrei davvero non aver tirato su mura impenetrabili, vorrei credere ancora che l’amore è una cosa bella e che tutto va sempre a posto. Vorrei davvero corrisponderti. Mi piacerebbe, davvero, ma sono qui con te, steso nella notte, mentre tu dormi accanto a me ( a proposito, russi, sarà perché hai pianto…) e penso a quello che ti ho detto.
È una frazione di secondo. Mi rendo conto all’improvviso che si, è notte, la strada è quella di tutti i giorni, ma cazzo, quello è il ponte basso ed io non ci passo, non con l’ambulanza. Cazzo, perché ho imboccato questa strada cazzo!. È un lungo secondo al rallentatore, la frenata è immediata, ma è troppo tardi. L’attimo si cristallizza. Lo stridore delle gomme ed il rumore dei vetri infranti. Le grida dietro, il dolore allo sterno, le luci della barra che esplodono e la consapevolezza del disastro. La camera stacca, esterno sulla polvere ed i calcinacci che si depositano, sui nostri corpi sparsi qua e là mentre attendiamo l’adrenalina che ci farà scattare in piedi, a controllare se stiamo tutti bene. No, non stiamo tutti bene. Io non sto per niente bene, dentro di me fa male tutto ma non è un dolore fisico. Fuori sono illeso.
Perdonami bimba, ma ho paura che di me non riuscirò a darti che un cassetto.

2 commenti:

  1. no via sei uno scrittore ;) è il secondo racconto che leggo tuo...
    comunque per l'ambulanza non è niente... capita.. notte.

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