mercoledì 3 giugno 2009

Swimmin’ in Marshmallow’s jam

Non è una canzone degli smashing pumpkins.
È la trasposizione figurativa della sensazione di impotenza assoluta, quasi onirica, in cui in certi passaggi dello stupido copione in cui sono invischiato mi costringono.
Immagino che succeda anche ad altri di passare momenti in cui qualsiasi cosa fai, dici, pensi, ti si ritorce inesorabilmente contro. Bene, oggi mi sono reso conto di nuotare nella marmellata con cui titolavo.
Non è tanto la sfiga, con cui convivo amabilmente da anni, quanto l’impossibilità fisica di arginare l’onda che sale. Pensate a quelle vecchiette che quando gli si allaga casa prendono scopa e cenci e tentano di spazzare in strada l’acqua che entra da tutte le parti. Quale gesto più sublime ed inutile di questo? Eppure… serve. Almeno non devono stare impotenti in un angolo a guardare l’acqua salire.
Se davvero questo blog fosse il mio personale surrogato dello psicologo, come a volte sostengo, ora seguirebbe una lunga elencazione di sventure di fronte alle quali mi pare di nuotare nella melassa… sono anche sicuro che tale elencazione farebbe deflagrare l’ilare sogghigno di molti (ad esempio sono assolutamente impotente contro l’assurdo vortice Kafkiano che ha ingoiato la mia macchina nuova, oppure verso il fatto che di fronte a Lei le parole mi tradiscano e, sensazione per me sconcertante, si tramutino, , in confusi balbettii e ogni mia affermazione, battuta, timido tentativo di conversazione divengano puttanate tragicamente fuori luogo, il cui unico risultato è farLe apparire in volto un’insegna luminosa con su scritto “ma che cretino”…).
Non ho però intenzione di fare tale elencazione catartica, preferisco soffermarmi sulla mancanza di rimedi escatologici (catartica… escatologici… parlo come un cretino, scusatemi, ma purtroppo i termini corretti sono proprio quelli li.).
Intanto, ad esempio, devo provvedere a farmi una ragione che l’assoluta onnipotenza della volontà è una cazzata.
non è un concetto filosofico di Nietzche, ma la favola educativamente propizia con cui hanno cresciuto tutta la mia generazione: “se vuoi ce la fai… se vuoi ce la fai”. Il mantra dell’inutilità. Spero che i genitori di oggi abbiano cambiato registro, magari con un più realistico “lascia perdere… fottitene.”
Dicevo, è una cazzata perché molto poco di quello che accade intorno a noi viene influenzato dai nostri desideri, azioni o sforzi morali. Almeno nulla di ciò che conta davvero. Noi, semplicemente, non facciamo la differenza. Ecco che allora viene a galla la frustrazione dell’impotenza quotidiana, diversa da quella del risultato impossibile che pure mi distingue, contro cui tendo costantemente e da cui il vento forte delle avversità mi respingono. In molti più campi di quelli che sarebbe per me salutare fossero.
Tutto questo mi porta a volgermi indietro e riguardare il cammino intrapreso per arrivare ad essere quello che sono e mi rendo conto che forse, forse, ci sono state occasioni in cui avrei potuto fare la differenza e non l’ho fatto. Prendiamo l’amore ad esempio (si lo so, lo prendo spesso ad esempio, ma che volete, devo pur far contente anche le telespettatrici... in fondo è un blog per famiglie).
Mi domando se in qualche punto, quando sono passato attraverso le molte separazioni conflittuali che mi caratterizzano, ci sia stato un attimo, anche uno solo, in cui avrei potuto voltarmi indietro, tornare sui miei passi, abbracciarla e dirle “non ti preoccupare, io sono ancora qua, andrà tutto bene” lenire il dolore, portare… serenità. Oggi, mentre digrigno i denti perché mi sembra di non riuscire ad andare avanti in nulla, a tormentarmi davvero sono quei quattro passi indietro che non feci.
Allora.

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