sabato 22 gennaio 2011

Hogwards

È strano come i ricordi tornano a galla all’improvviso.
stasera correvo sulla ciclabile, il vento gelido che mi sferzava le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini mentre soffiavo aria calda nei guanti per scaldare le mani. Quei cazzo di sei chilometri non mi sono mai sembrati così lunghi. Correvo per sciacquare via la rabbia, come sempre, ma era troppo freddo per concentrare i pensieri su qualcosa. La luna, enorme e freddissima, insieme agli arctic monkeys sparati nelle orecchie sotto al cappello di lana e alla kefia di cotone che mi avvolgeva il viso, erano estranianti. Intorno nessuno per chilometri. Nemmeno i cani mi abbaiavano contro. Di solito lo fanno sempre, da dietro i loro cancelli, le siepi e i muretti delle ville. Troppo freddo anche per loro. Le undici di venerdì sera. Chi cazzo vuoi ce ci sia per strada, coglione.
Comunque sia, prima di Canneto, la mia attenzione si aggrappa distratta su un’immagine. Davanti a me, non troppo lontana, una ragazza con un vestitino leggero svolazzante è ferma e guarda la città dal parapetto in legno, proprio nel punto che, anni fa, un cretino che voleva dimostrare qualcosa ha sfondato sfasciandosi le ossa.
Mi avvicino un po’ stupito. Cazzo, è freddo, è vestita troppo leggera. Ed è sola. È pericoloso se non sei una specie di psicopatico attaccabrighe di quasi 100 kg con la mania del jogging notturno.
Invece mi accorgo che era solo un immagine mentale, un ricordo che la mia memoria ha sovrapposto ad un telo bianco aggrovigliato ad un palo. Che il vento impetuoso fa svolazzare. Inseguo quell’immagine indietro nel tempo e torno in Galles.
Si lo so, a leggere quello che scrivo sembra che sia stato dappertutto e abbia fatto cose ganzissime. Invece, se leggete bene, si tratta per lo più di episodi sfigati. Anche questo qua.
Avevo 16 anni e, tanto per cambiare, ero stato spedito in Inghilterra ad imparare l’inglese. Vacanza studio. Le ho sempre adorate, ma quell’estate in particolare non mi andava molto. Per la prima volta infatti era estate e avevo la ragazza. Mi piaceva pure un sacco, al tempo avrei giurato che ne ero innamorato perso. Due mesi dopo mi avrebbe mollato per un coglione che valeva un decimo di me e che giocava a calcetto. Puttana.
Comunque sia, nel giugno del 1991 faccio il mio ingresso ad Hogwards. Naturalmente non si chiamava così, il posto era Cloisters, ma vi giuro che era identico a quello che, 10 anni dopo, è diventata la scuola per maghi sfigati.
Funzionava così: i maschi dormivano in camere doppie o triple all’esterno del complesso di edifici neo gotici formato dall’edificio principale, dal chiostro (da cui il nome) e dalla chiesa. le ragazze dormivano proprio nel corpo principale, in camere da 5 o 6. Loro stavano meglio.
Io finii, in virtù dell’ingegno di qualche mente brillante che aveva letto la mia città natale sul passaporto e aveva sbagliato deduzione, in camera con un ragazzo tedesco, più grande di me di 3 anni. Lui parlava appena appena inglese, io lo balbettavo. Non sono mai riuscito a scambiare con lui due parole prima della Notte del Fantasma.
Il giorno dopo iniziammo le lezioni ed io finii in classe con S., che era molto carina, se la tirava e, naturalmente, mi piaceva un sacco. (lo so, 3 paragrafi fa ho detto che ero innamorato della mia ragazza, che ci volete fare, sono un tipo sensibile…). iniziai così il mio rituale di corteggiamento usuale che consisteva (e, purtroppo, consiste tutt’ora), nel prenderla in giro con mille battute e poi fare finta che non esistesse neppure e un sacco di altre cosette altrettanto efficaci …
Tutto questo naturalmente non sortiva molti effetti. Almeno fino alla Notte del Fantasma.
Quella sera particolare il mio compagno di stanza mi disse (o meglio, mi fece capire), che, se avevo coraggio, mi avrebbe portato nelle stanze delle ragazze. Ma occorreva fare molta, molta attenzione. Infatti di notte c’era il custode che girava per i corridoi e per il parco intorno al college. Se venivi beccato fuori dopo le 23 c’era l’espulsione e venivi rimandato a casa. Una specie di nascondino con una posta alta. Accettai immediatamente, e decisi che quella notte avrei finalmente dichiarato il mio amore a B., costasse quel che costasse, senza prese in giro, mezze frasi o altro. Se ero abbastanza coraggioso da seguire uno squilibrato di notte in una specie di missione suicida che rischiava di farmi tornare in italia con tre settimane di anticipo, lo sarei stato anche per dire ad una ragazza quello che provavo. Per maggior sicurezza mi preparai anche un discorso, che scopiazzai spudoratamente da Shakespeare. Cazzo servivano 2 ore di letteratura inglese al giorno altrimenti?
Le campane del torrione suonarono i dodici rintocchi e noi ci avviammo fuori. C’era la nebbia bassa, quella che ti copre solo fino ai polpacci e che ti impedisce di vedere dove corri. Ma se ce ne fosse stato bisogno ti ci potevi anche nascondere semplicemente tuffandotici. Ce ne fu bisogno quasi immediatamente. La porta del nostro dormitorio era chiusa a chiave. Lo squilibrato allora pensò bene di uscire dall’uscita di sicurezza. Suonò l’allarme e la porta si richiuse dietro di noi. Eravamo fuori e iniziammo a correre come disperati. L’allarme si spense quasi subito, ma i custodi uscirono tutti a vedere cosa succedesse. Iniziarono a girare con le torce in mano come i nazisti dei film, ma senza i rottweiler. Per fortuna.
Aspettammo un sacco di tempo acquattati in attesa di poter sgattaiolare nella cantina della chiesa. Lo squilibrato aveva lasciato la porta aperta quel pomeriggio. Da li salimmo nella navata, poi al torrone e, una volta in cima, sgattaiolammo nel ballatoio che univa la torre all’edifico principale. L’atmosfera era tesa. Non era andata per niente bene, e, oltre al rischio di essere beccati, dovevo anche stare attento a non precipitare dal tetto.
Quando arrivammo sotto al corpo principale capii perché lo squilibrato aveva bisogno di me. Dovevamo arrampicarci verso una finestra della soffitta. Dovevo prenderlo sulle spalle. Lui poi tirò su me. Eravamo dentro. Anzi, eravamo nel sottotetto. Ad un certo punto passammo davanti ad uno specchio coperto da un lenzuolo e il tizio mi spiegò che quello era stato in camera di una ragazza che, 30 anni prima, si era suicidata per amore. La sua anima era rimasta intrappolata lì dentro e, con la luna piena, usciva vestita solo del lenzuolo in cerca dell’amore perduto. Chi la incontrava rischiava di farsi baciare e, quindi, succhiare via la vita per divenire anche lui un fantasma. Mi giurò che era vero e proseguimmo, mentre io, per farmi coraggio, ripassavo la mia dichiarazione a B..
Scendemmo una ripida scala a chiocciola di pietra e ci ritrovammo nel corridoio del dormitorio femminile. Era fatta. C’eravamo riusciti, eravamo dei grandi ed io avrei coronato il mio sogno d’amore. Quando avrei raccontato a B. del fantasma si sarebbe sciolta nelle mie braccia. Solo che non avevo idea di quale fosse la sua stanza. Non ci avevo pensato. Lo squilibrato non sembrava avere problemi di orientamento. Si diresse lungo il corridoio contando le porte, arrivato davanti ad una precisa, bussò piano. Io mi affiancai a lui.
Aprì B.. Dio evidentemente esisteva ed era dalla mia parte, mi aveva guidato da lei, direttamente nelle sue braccia. Chiusi gli occhi, presi fiato, richiamai ala mente la battuta d’avvio del mio discorso e …
quando aprii gli occhi B. stava baciando lo squilibrato. Lui la palpava. Entrarono in camera e mi chiusero la porta in faccia. Il rumore della porta che si chiudeva fu sommerso dal rumore di vetri infranti che produsse il mio cuore spezzandosi, neppure per l’ultima volta, lì, nel corridoio del dormitorio femminile di un cazzo di college gotico.
p-u-t-t-a-n-a. ogni lettera una falcata per tornare verso il basso. Non dal tetto, dallo scalone principale. Che mi spedissero pure in italia, non mi importava più un cazzo. Anzi meglio. Uscii dalla porta principale, sperando di sentire suonare l’allarme. Almeno, magari, perquisivano le camere e avrebbero spedito via pure lo squilibrato traditore. Invece nulla. Non era allarmata. Evidentemente l’allarme di prima non serviva a tenere fuori i ladri ma a tenere dentro gli studenti. Fottuti inglesi. Fottuti tedeschi psicopatici.
E fu così, mentre giravo dietro alla chiesa che la vidi. Era in mezzo al prato, era vestita di bianco con un abito leggero e svolazzante. Sembrava, anzi no, lo stava proprio facendo, ballava sotto la luna piena a braccia distese. Era il fantasma.
Ne ero sicuro, era lei, gli assomigliava. Solo non capivo perché stesse ridendo e saltando mezza nuda in mezzo al prato. Chissà, forse se mi avesse visto avrebbe baciato anche me. Non sarebbe poi stato tanto peggio che farsi rispedire in italia no?. Invece mi acquattai nella nebbiolina, finché il fantasma non si stufò. E sparì dietro la chiesa con quella che sembrava proprio una bottiglia di Baileys in mano.
Il giorno dopo chiesi di cambiare stanza e, la solita mente geniale, fraintendendo l’origine del mio nome mi spedì in camera con 3 colombiani, il cui concetto di imparare l’inglese girava intorno al rum e alle canne. Sempre meglio che con lo squilibrato ladro di innamorate fantasma.

Nessun commento:

Posta un commento